Imbarazzo sociale nelle sue basi cerebrali
GIOVANNA REZZONI
NOTE E NOTIZIE - Anno XVII – 07 marzo 2020.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org
della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia).
Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società,
la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici
selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori
riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
Si comprende la difficoltà da parte di molti psichiatri europei a considerare
le reazioni ansiose sviluppate in particolari circostanze sociali non quali
semplici sintomi, ma come disturbi nosografici indipendenti. Un compromesso fra
questo criterio di eccessivo splitting e la riduzione di tutte le
manifestazioni a sintomi delle sindromi cliniche classiche – come si faceva in
passato – è rappresentato dalla definizione del disturbo da ansia sociale
(social-anxiety disorder, SAD) in passato
definito fobia sociale. Naturalmente, non distinguendo più il vero
sintomo fobico, sviluppato quale esito di una dinamica psicopatologica, da una
reazione emotiva facilitata da temporanee condizioni neuroendocrine come quelle
dell’adolescenza, del climaterio o di un periodo di stress, la diagnosi
è diventata tanto frequente da far considerare il SAD tra i più comuni disturbi
psichiatrici in tutto il mondo, con una prevalenza del 15% (lifetime
prevalence), anche se i singoli casi presentano
fra loro differenze molto marcate.
La percezione da parte di epidemiologi e clinici è di un incremento globale
del numero di persone con ansia sociale, che presenta ipersensibilità
emozionale e interpretazione soggettiva dei contenuti d’esperienza degli
incontri con estranei. Una quota non trascurabile di questo incremento è da
ascriversi ai pazienti affetti da una forma comune in Estremo Oriente e considerata
uno specifico sotto-tipo di SAD: Taijin-kyofusho (TKS).
La TKS si caratterizza per la paura di creare imbarazzo in altre persone. In genere,
i Giapponesi che ne soffrono sono caratterizzati da ipersensibilità a
sentimenti e stati affettivi altrui, e intensa preoccupazione che i propri
difetti fisici e comportamentali possano creare disagio nelle persone con le
quali entrano in rapporto, anche solo visivo, in circostanze pubbliche e del
tutto casuali. Questa peculiarità è spesso espressa sinteticamente come “imbarazzo
empatico o da altra causa”.
Shisei Tei, collaborando
con Riitta Hari e numerosi
colleghi, ha indagato le basi neurocognitive di
questo disturbo comparando, in 23 Giapponesi adulti affetti da TKS, l’attività del
cervello in fMRI con i risultati di questionari per la valutazione di parametri
di empatia e cognizione.
(Tei
S., et al. Brain and behavioral alterations in subjects with social
anxiety dominated by empathic embarrassment. Proceedings of the National Academy of Sciences USA – Epub ahead of print doi: 10.1073/pnas.1918081117, 2020).
La provenienza degli autori è la seguente: Department
of Psychiatry, Graduate School of Medicine, Kyoto University, Kyoto (Giappone); Faculty of Information Technology, University of
Jyväskylä, Jyväskylä (Finlandia);
Department of Psychology, University of Oregon, Eugene (USA); Department of
Art, School of Arts, Design and Architecture, Aalto University, Espoo (Finlandia).
Nelle opere lessicografiche
troviamo la definizione della parola timido quale caratterizzazione descrittiva
di un tipo umano: colui che è timoroso per natura e può apparire esitante e
impacciato per soggezione. La letteratura narrativa e poetica ci testimonia fin
dall’antichità il bisogno di questa categoria descrittiva che rappresentava una
condizione, che oggi definiremmo fisiologica perché assimilata a stile di
personalità e tendenza del carattere, ben distinta dagli stati di paura
patologica, che l’autore ippocratico di Epidemie I/III già accostava alla
depressione (dysthymiē)[1]. È descritta come timida la persona che nelle occasioni sociali non
solo mostra eccessivo riguardo e rispetto verso gli altri, al punto da apparire
inibita nell’agire, ma che tende ad arrossire facilmente, rivelando uno stato psicoemotivo che facilita la reazione vasomotoria.
L’influenza della cultura ha
probabilmente avuto un ruolo rilevante nello sviluppo di questo tratto, se si
pensa che nel corso della storia, dal medioevo al secolo appena trascorso, la
timidezza è stata considerata una qualità desiderabile nelle ragazze e un
difetto più o meno grave nei ragazzi.
Almeno due grandi influenze ambientali
possono aver agito storicamente su questa tendenza espressa come assetto
neurofunzionale: l’educazione e il condizionamento politico dei rapporti sociali.
L’educazione spirituale alla sottomissione ad una divinità onnipotente, così
come l’insegnamento pedagogico precoce al rispetto delle autorità costituite, possono
contribuire allo sviluppo di una disposizione – intesa nel senso della
psicologia accademica classica – della personalità a percepirsi come insufficiente
o inadeguata in talune circostanze. L’emulazione può altresì avere un ruolo:
genitori timidi, tranne rare eccezioni che confermano la regola, trasmettono
involontariamente questa disposizione ai figli. Così, un’organizzazione sociale
fortemente gerarchizzata, come quella delle dittature e dei regimi militari,
tende a favorire, fatta eccezione per l’élite dominante, un atteggiamento
– anche qui secondo la psicologia accademica classica – di sottomissione, che
può contribuire allo sviluppo di sentimenti di inferiorità. Nell’Italia dell’epoca
fascista, e ancora nei decenni successivi, il tratto della timidezza o
dell’inibizione sociale su un fondo di intensa emotività repressa
riguardava la maggioranza della popolazione. Un condizionamento simile si è
avuto in Giappone con il nazionalismo Showa che, a
differenza di nazismo e fascismo, si è protratto con l’imperatore Hirohito fino al 1989, lasciando costumi di obbedienza e
sottomissione sociale che, in parte, resistono ancora oggi.
Questa chiave di lettura non è
certamente sempre valida ed esaustiva nell’approcciare i disturbi d’ansia
sociale dei Giapponesi; tuttavia, mi è sembrato doveroso farvi riferimento
perché, se escludiamo un generico spettro di variazioni fisiologiche di fondo,
presumibilmente simile per tipologia in tutta la nostra specie[2], credo che sia prioritaria l’importanza dell’esperienza culturale e
del profilo antropologico nel determinare, con il tipo di sensibilità, le
condizioni di evocazione e le soglie di risposta. In altri termini, per la
personale conoscenza e consuetudine con persone giapponesi, il contenitore clinico
comune del disturbo SAD come è stato concepito dall’American Psychiatric Association per il DSM, mi sembra per certi
versi lontano sia dal modello di atteggiamento sociale prevalente in Giappone,
sia da una sensibilità formatasi sulla tradizione dell’empatia shintoista
trasmessa per secoli. Solo conoscendo a fondo questo modo di sentire si può
comprendere come si possa star male dal timore di poter imbarazzare un’altra
persona: sintomo caratterizzante la Taijin-kyofusho (TKS).
Tanto premesso, ritorniamo allo
studio qui recensito.
Shisei Tei e colleghi hanno ideato particolari
esperimenti per cercare di identificare mediante risonanza magnetica funzionale
la base neurocognitiva dell’ipersensibilità ai
sentimenti altrui dei pazienti TKS che, accanto alla paura di generare
imbarazzo, presentano anche la preoccupazione che propri deficit fisici,
comportamentali e prestazionali possano mortificare gli altri. I ricercatori
hanno comparato, in un campione di 23 Giapponesi adulti, i punteggi ottenuti
dai pazienti a test basati su questionari nell’area della disposizione empatica
e della flessibilità cognitiva (set-shifting)
con l’attività cerebrale associata all’empatia. Durante l’esecuzione di
scansioni tomografiche in 3-Tesla fMRI, i volontari guardavano dei video di
persone che cantavano male e esprimevano sia autentico imbarazzo (EMBAR) sia
ostentato ed esagerato autocompiacimento (PRIDE).
I ricercatori si aspettavano che i “cantanti
EMBAR” imbarazzassero gli spettatori via condivisione emotiva implicante
empatia affettiva (affEMP), e i “cantanti PRIDE”
creassero imbarazzo mediante una considerazione prospettica implicante empatia
cognitiva (cognEMP).
Durante affEMP
(EMBAR > PRIDE), i punteggi TKS erano correlati positivamente con affEMP disposizionale (dimensione del distress
personale) e con l’attività dell’amigdala.
Durante cogEMP
(EMBAR < PRIDE), i punteggi TKS erano correlati negativamente con la flessibilità
cognitiva e con l’attività nelle aree del solco temporale superiore
posteriore e della giunzione temporoparietale.
L’analisi di correlazione
intersoggettiva ha implicato una più forte partecipazione dell’insula anteriore,
del giro frontale inferiore e della corteccia premotoria durante affEMP (rispetto a cogEMP), e più
intensa attività della corteccia prefrontale mediale, della corteccia
cingolata posteriore e delle aree del solco temporale superiore
posteriore e della giunzione temporoparietale
durante cogEMP (rispetto ad affEMP).
Durante cogEMB,
la connettività funzionale del cervello intero era tanto più debole quanto più
alto era il punteggio TKS. Lo squilibrio osservato tra affEMP
e cogEMP, e la perdita di connettività funzionale,
probabilmente deteriora, secondo Shisei Tei e colleghi, l’elaborazione cognitiva durante situazioni
imbarazzanti in persone che soffrono di ansia sociale orientata verso gli altri
e dominata da imbarazzo empatico.
L’autrice della
nota ringrazia la
dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla
lettura delle recensioni di studi di
argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare
il motore interno nella pagina “CERCA”).
Giovanna Rezzoni
BM&L-07 marzo 2020
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Firenze, Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484,
come organizzazione scientifica e culturale non-profit.
[1] Epidemie I/III, testo di
H. Kuehlewein, Lipsiae
1894, cit. in Di Benedetto, Il Medico e la Malattia – la scienza di
Ippocrate, p. 37, Einaudi, Torino 1986.
[2] Probabilmente, nel tracciare le
curve di distribuzione dei caratteri molecolari e funzionali più rilevanti per definire
profili fenotipici psichici, le differenze fra Americani, Europei,
Giapponesi, Africani o Cinesi sono solo quantitative.